Combattere la Cultura del Degrado


LA CULTURA del DEGRADO: UNA DENUNCIA E UNA PROPOSTA
(lettera inviata a molti amici e conoscenti nell'autunno 2010)


Sono un cittadino italiano, di 46 anni. Per quelli che non mi conoscono (e ciò poco importa) sono una persona qualunque, sono un Italiano, che ama il proprio paese, la sua civiltà e la sua cultura.

Sono un cittadino che ha bisogno di dire BASTA! e cercare di contrastare la diffusione nella nostra società, ma soprattutto nei giovani, di una serie di proposte, di stili di vita, di comportamenti, di metodi, di strumenti, che stanno assumendo la dimensione di una “cultura”, anche se, forse, ha già raggiunto la dignità di una “civiltà”, in questa Italia di oggi: una civiltà del degrado; una civiltà retrograda. Ma preferisco chiamarla ancora "cultura", perché penso che possa ancora essere sconfitta. Dicevo, sta diventando una “cultura”, in cui non mi riconosco, che per me è la negazione della “civiltà conquistata” di ieri, che non accetto e rifiuto con tutte le mie forze. Essa è proposta, diffusa ed attuata tramite le parole e i comportamenti di uomini e donne a volte lucidi, ma non sempre, spesso consci, a volte invece plagiati da altri, altre volte in preda a veri e propri deliri, ciascuno a modo suo. Ma il problema è che si diffonde oramai da anni. Si tramanda addirittura da genitori a figli.

La chiamo “cultura”, ma per me è più un cancro per questa società. La chiamo cultura perché qualcuno la sposa, ci crede, l’ha fatta sua. La chiamo “cultura” perché ormai la trovi ovunque, c’è una metastasi in ogni campo delle attività umane, dalla politica, al giornalismo, alle professioni, la trovi nel mondo del lavoro, del lavoro dipendente e degli imprenditori, della cooperazione, del sindacato. Ovunque. La chiamo “cultura” perché, oramai, ha sviluppato metodi, logiche, comportamenti, spiegazioni per ogni cosa.

Quella a cui mi riferisco è, per esempio, la “cultura”, ormai dilagante, che scambia le opinioni per i fatti, che vuol vedere le cose sempre dalla stessa parte, che vuol far credere che la verità sia una sola, che cita Voltaire al contrario, che rovescia il significato della Parabole di Cristo, che vuol fare credere che si possa non cambiare mai idea in tutta una vita, anzi, che non lo si debba proprio mai fare. E’ la cultura che vuol far credere che il giusto stia sempre dalla tua parte, quella più comoda, quella che ti conviene, la prima cosa che hai pensato o ipotizzato, così chiudi subito il discorso. E’ il dire: “è così e basta”. E’ la cultura che coltiva la stupidità e l’ignoranza umana, perché se ne nutre.

E’ una “cultura” che sponsorizza e promuove “l’uomo che non dice mai quel che pensa”, bensì quel che conviene o ciò che è funzionale a qualcosa. E’ una “cultura” che isola gli “uomini veri” e le “donne vere”, quelli che non si piegano, perché li teme, in quanto sono come anticorpi.

E’ la cultura che tende a isolare, ma possibilmente annientare, o quanto meno zittire, gli uomini veri e le donne vere, quelli con la schiena dritta, cioè quegli uomini e quelle donne che dicono sempre quello che pensano, sempre, non ogni tanto,  e fanno sempre quello che dicono; quegli uomini e quelle donne che rispettano le regole e le leggi, ma le rispettano semplicemente perché esistono, e perché sono il fondamento della vita democratica di un paese. Le rispettano anche quando non le condividono. Perché? Semplicemente perché sono state decise democraticamente, per cui si rispettano e basta. Sono uomini e donne, quelli veri, che sbagliano, come tutti, ma si correggono, fanno un esame interiore, verificano mille e mille volte il problema, per cui sono di nuovo pronti a dare il loro contributo. Non hanno mai la pretesa di aver capito tutto. Sono uomini e donne che non si comprano, perché non è vero che tutto si può comprare.

Già… dove sono finiti questi “uomini veri” e queste “donne vere”, quelli che dicono quel che pensano e fanno quel che dicono… Sono isolati, emarginati, derisi. Ma ci sono. Tutti i giorni li vedo e mi parlano. Sono degli eroi. I veri eroi di oggi. Lottano democraticamente contro tutta una cultura, un mondo, che spesso va al contrario. Essi spesso attendono di essere ascoltati, con pazienza, anni… Non gridano mai, attendono sempre che l’altro, chiunque esso sia, qualunque età abbia, finisca di parlare. Sono quelli che attendono il proprio turno. Sono quelli che, quando veramente serve, si alzano e dicono le cose che pensano, spesso esponendosi. Questi uomini e queste donne parlano soprattutto quando non conviene, perché in quel caso nessuno parla, perché potresti dare fastidio a quella persona importante che sta parlando, ad esempio al politico di turno, di destra o di sinistra, all’impresario potente di turno, al ricco di turno, il quale magari sta dispensando consigli di vita a tutti, al funzionario di turno… Ciò spesso non conviene: magari è giusto, ma non conviene. Non conviene, pero' vedi che proprio loro, in quel preciso momento, se sono presenti (perché sono ormai veramente pochi), si alzano e chiedono di parlare. Lo fanno anche se non  conviene, perché devono farlo, ne sentono il dovere. Sono uomini che non calcolano mai la convenienza economica dell’intervento che stanno per fare, semplicemente perché "la convenienza" è un ragionamento che non c’entra niente. Sono gli uomini e le donne che fanno la spina dorsale di una Nazione.

Ma torniamo al punto: di che cultura stiamo parlando?

E’ la “cultura”  del non fare mai i conti con i propri errori, che vuol far credere che esistano veramente dei superuomini che non sbagliano, infallibili. E’, in fin dei conti, la cultura delle “ideologie”. Ma e' anche la cultura del “non pensare ”, tanto c'è qualcuno che pensa per me: uno che non sbaglia, per cui sono tranquillo. E' la cultura del “non avere mai dubbi”, perché il dubbio è segno di debolezza. Invece gli uomini sbagliano, anche i più grandi, perché sono limitati, hanno paure, subiscono condizionamenti… Quale uomo, tra i più grandi della terra, non ha mai commesso errori? Troviamone almeno uno sulla terra! Non c’è, perché semplicemente non sarebbe un uomo.

E’ la “cultura” che esalta gli uomini “vincenti”, non importa come, perché o per cosa. Uomini che devono aver vinto qualcosa, che primeggiano in qualcosa, che vincono qualcosa, da contrapporre agli altri. Quindi vanno bene quelli che riescono ad avere una carica di Presidente di qualcosa, di Assessore a qualcos’altro, vanno molto bene anche i calciatori, anche se sono semi- analfabeti, perché guadagnano un sacco, vanno bene anche i dittatori, purchè ricchi, vanno al limite bene anche gli uomini che vendono mine anti-uomo se hanno fatto i miliardi. Non importa cosa fai, però devi essere “un vincente”. Se no, scusa, che cavolo sei? Un operaio? Un camionista? Un medico? Magari della mutua? Sai quanti ce ne sono in Italia di “medici”? Un politico che si occupa di disagio sociale? E che cos’è? A che cavolo serve?

E’ la cultura degli uomini “che ottengono sempre il risultato”, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, che raggiungono “l’obbiettivo”, e più sono bravi più lo raggiungono presto, perché il tempo è denaro. E’ un risultato che però spesso, a ben guardare, è ottenuto senza stare troppo a sottilizzare sul metodo e sulla forma, magari stiracchiando qualche regola, con qualche appoggio, saltando una fila, prendendo una scorciatoia... Ma non conta nulla: è “il risultato”! Magari qualcuno ha dovuto corrompere un funzionario, ma non conta perché comunque lo fanno tutti... E’ una cosa molto importante “la garanzia del risultato”, perchè spesso il risultato vale parecchi soldi; a volte vale addirittura una vita umana se stai cercando un organo al mercato nero!

E’ questa anche la “cultura” del “risultato sicuro e subito”, che dà risposta a chi dice: “lo voglio subito, ora!”. In questo caso, solletica gli istinti umani più beceri e utilizza tutti gli strumenti più spietati, perché, a ben pensare, è anche la cultura “del fine che giustifica i mezzi”, del sopruso, che autorizza a calpestare tutto e tutti, i diritti, le tutele dei piu' deboli, pur di ottenere il risultato. Così come fanno i militari nelle carceri per interrogare qualcuno e farlo “parlare”; cose che si vedono soltanto, normalmente, quando uno Stato è in Guerra. Con questa “cultura” la vita diventa veramente una guerra: una guerra civile, tutti i giorni.

E' anche la “cultura” del  “pretendere tutto e subito”, la quale ti convince anche che tutto ciò è giusto e giustificabile, perché tu ne senti il bisogno, ma soprattutto perchè tu "non poi aspettare". Perché? Perché il tuo tempo è più importante di quello degli altri! Gli altri possono aspettare, ma tu no. Tu non hai tempo, il tempo è denaro! Questa “cultura del tutto e subito” ti spiega anche che tutto ciò, tutto sommato, è positivo, perché hai subito quello che volevi; pagando un prezzo, ovviamente. Magari hai calpestato i diritti di un altro che veniva prima di te, ma l’hai ottenuto quello che volevi; subito, ovviamente, e sei stato furbo. Piu' furbo degli altri! La furbizia è importante, se no, al contrario, sei uno stupido, un fesso, uno che perde le occasioni. Apparentemente tutto quadra: mi piace! Però se ti fermi un attimo a pensare... se per caso hai tempo per pensare, magari hai saltato la fila e c’era un uomo qualunque, di fianco a te, che stava aspettando come te un’operazione all’ospedale… Ma tu, con la conoscenza di un amico importante, uno dei tanti tuoi amici tutti importanti, gli sei passato davanti, sei arrivato prima, perchè sei più furbo, sei uno che ha amici importanti, che ti aiutano. Tanto lui non conta niente, è un pezzente, non ha amici importanti. Mi viene in mente il “Marchese del Grillo”. Io la rifiuto questa cultura, con tutte le mie forze.

E’ la cultura che promuove il qualunquismo, le valutazioni un tanto al braccio. Giustifica la mediocrità,  anzi, la propone. Promuove, ad esempio, la presenza in Politica e nelle Istituzioni di uomini e donne assolutamente incompetenti nella materia che trattano, proponendoli magari in televisione. Per fare “opinione”: gli “opinionisti”. IO cambio canale, ma il problema è che c’è gente, purtroppo, che ha bisogno di capire, che magari non ha altri mezzi per capire, la quale, fidandosi, li ascolta.

E’ la “cultura” che pretende di dare ad ogni cosa “un equivalente in denaro”, per esempio, come dicevo prima, al tempo, ma anche all’amicizia, perché “ti conviene” aiutare un amico che poi ti dà qualcosa in cambio, mentre uno che non potrà mai restituirti il favore non è neppure un amico. Quindi l’amicizia, tutto sommato, ha “un valore in denaro"!

E’ la “cultura” che propone ai giovani modelli deliranti di uomini e donne senza testa e senza cultura, senza passioni, senza un interesse che sia uno, magari un interesse qualsiasi che possa dare un senso all’esistenza sulla terra di un uomo. Propone gli “uomini-involucro”, “uomini immagine”. In effetti li chiamano proprio cosi! Poi prende queste persone e li mette in televisione seduti su un trono, e i nostri figli che, a quell’ora, guarda caso, sono lì davanti alla televisione, li guardano, li osservano, perplessi quando va bene, attenti quando invece va male.

E' la "cultura" secondo cui conta solo chi è “in vista”,  non importa come e perché: conta esserci ed apparire. Una cultura della superficialità, dell’inutile, che vive di ignoranza, perché senza ignoranza muore subito.

E’ una "cultura" secondo cui si puo' vivere una vita intera inseguendo cose totalmente inutili: i cavoli altrui, ad esempio, vanno molto bene. Secondo questa cultura, le “passioni” non servono. Invece l’uomo reale vive e si nutre ogni giorno di passioni! Senza “passioni” l’uomo è morto, non è un uomo, non vive. Non voglio fare una graduatoria, non mi interessa, ma qualcosa un uomo DEVE avere oltre al suo “involucro”. L'amore è passione. Senza passioni l’uomo non potrebbe impegnarsi veramente in nessuna cosa: non avrebbe mai creato nulla, nessuna forma di arte, nessuna scienza. Senza passione l'uomo non avrebbe mai esplorato il cielo stellato; non vedrebbe neppure Dio! Siamo anche qui al delirio puro. Siamo alla follia. Un tempo le avrei liquidate come semplici sciocchezze, discorsi di qualche stupido. Oggi capisco, invece, che rischiamo il delirio tutti quanti perchè rischiamo un’intera civiltà, la civiltà moderna, quella dei nostri valori condivisi, creata in secoli di storia dei popoli.

E’ la “cultura” che eleva gli uomini mediocri, perché sono più utili. E’ la teoria “dell’utile cretino”, o la teoria in base alla quale sommando 10 somari ottieni un cavallo da corsa! In base a questa teoria abbiamo riempito la politica di cretini, in quanto prendono ordini dall'alto più facilmente: quelli intelligenti rompono troppo le scatole...

Questa "cultura" elogia addirittura gli uomini che si piegano. Vive e si alimenta di omologazione. Promuove l’appiattimento in basso di ogni cosa e a tutti i livelli, dall’impegno da dedicare al lavoro, alla qualità degli insegnanti universitari. Osteggia fortemente tutto ciò che è meritocratico.

E’ la cultura che fa credere ai giovani che studiare non conta a nulla, che la fatica del lavoro non conta nulla, che i “risultati” si possono raggiungere facilmente anche senza studiare, o senza lavorare, ma soprattutto senza impegno, e, assolutamente, mai mettere passione nelle cose che fai! Inoltre, meno fai fatica più sei furbo. E’ quindi anche la cultura della scorciatoia, del saltare l’ostacolo anziché affrontarlo. E’ la cultura del copiare il compito a scuola, ma ti propone di farlo per tutta la vita. E’ la cultura dei compromessi su tutto, anche sulle regole e le leggi, magari anche sulla moralità e i valori.

Questa cultura sta dilagando ovunque: in televisione, nei cartoni animati che guardano i nostri figli, nei programmi per la casalinghe e per gli anziani. Ultimamente stiamo passando ad una specie di “soluzione finale" hitleriana del “gusto del sadico”, proponendo in televisione persone anziane, inconsapevoli, mandate su un set televisivo a farsi ridicolizzare da tutti, soltanto per ridere. C’è da piangere, altro che ridere! Ma, peggio ancora, vediamo bambini sui set televisivi, bambini che potrebbero studiare, che invece tentano di “sfondare” con la televisione, con i loro genitori lì a fianco che applaudono e li incoraggiano; magari hanno venduto un rene per riuscire a portare lì i loro figli, ma lo fanno per il loro futuro! Se per caso sfondano, diventano ricchi! E poi si divertono un sacco, tutti quanti: li riprendono con la televisione, per cui li vedono anche tutti i loro amici, e gli amici del papà e della mamma! Tutto ciò viene proposto in televisione, quindi proposto come modello “culturale” e viene assorbito come tale, come una cosa normale.

E’ la “cultura” del “sospetto e della diffidenza”, del partire pensando subito “male”, che non ti fa più credere in niente e a nessuno, neppure in un Giudice perché tanto sono tutti corrotti. E’ la teoria del “Grande Vecchio” che, secondo alcuni, dirige la vita dell’Italia fin dal Dopoguerra. E’ quella cultura che, alla fine, ti fa chiudere in te stesso, che poi ti porta a giocare tutta la tua vita in difesa, perché non ti fidi più di nessuno, perché tutti, comunque, alla fine dei conti, cercano di fregarti.

E’ la cultura che produce la Politica di oggi, della confusione, delle grida, del menar le mani, degli spettacoli indecenti. E’ la politica che ha riempito i partiti di uomini politici mediocri. E’ una Politica che non può produrre nulla, perché fatta di uomini che non solo all’altezza, per cui nulla hanno da dire.

E’ la cultura che utilizza la Politica per dividere, che stabilisce a priori che “la destra è meglio della sinistra” oppure che “la sinistra è meglio della destra”. La cultura del “o stai di qua o stai di là”. La cultura in base alla quale dall’altra parte, quella che non è la tua, sbagliano sempre: hanno sempre torto. Non si sa perché, ma è così. Ne consegue che tu hai ragione sempre, se stai dalla tua parte, che è quella giusta; ciò è molto comodo e tranquillizzante. Non devi neppure stare ad ascoltare; non devi neppure fare la “fatica” di ascoltare. Ovviamente se cambi idea non sei più dei nostri, per cui gli altri dei nostri cominciano a sospettare di te. Magari è meglio se eviti proprio di parlare con gente dell'altra parte, perché, magari, se qualcuno di vede, può pensare male di te... E’ la cultura che porta allo scontro, che rifiuta l’ascolto e il dialogo. Perché, in fin dei conti, non siamo proprio uguali: io ho sempre ragione, tu no.

E’ la cultura che produce la Politica di oggi, che scalda gli animi, che soffia sul fuoco, che deborda nel linguaggi;  la politica gridata, la politica fatta di risse. Questa politica utilizza uomini funzionali allo scopo, assolutamente sempre “degli utili cretini”. Io dico BASTA alla politica che divide, basta alla politica delle barricate. Voglio una politica fatta di luoghi di discussione per tutti. Non voglio solo i miei rappresentanti, voglio e pretendo di vederli e sentirli tutti. Li voglio ascoltare, tutti: voglio decidere io! Voglio che TUTTI possano parlare! Lo voglio e lo pretendo, perché questa Italia, che altri mi hanno consegnato, è stata voluta così e io non la voglio cambiare. Voglio un’Italia democratica e libera. Non è una questione di destra o sinistra. E’ una questione di democrazia e di rappresentanza!

E’ infine la cultura che utilizza, soprattutto in Politica, in modo cinicamente lucido, la tecnica del "sofisma”. Si tratta ovviamente di menti raffinate e lucide, le quali, con tale tecnica, mirano a manipolare le menti delle persone. Ovviamente parliamo di chi non è in grado di capire l’inganno, per cui le prede classiche, ancora una volta, sono le menti più semplici, le menti più pure, i ragazzi, gli individui che non hanno studiato, i quali magari non sanno neppure leggere per informarsi, verificare, cioè chi, in definitiva, tente a fidarsi del prossimo, oppure si deve fidare per forza, cioè “l’ultimo”. Anche le Ideologie, che in fin dei conti sono dei sofismi (in quanto, prima di tutto, sono costruzioni delle mente umana), per cui hanno anch'esse questo scopo. Qui veramente abbiamo toccato il fondo, in quanto a questi livelli non c'è più niente di umano. Invece l'uomo va rispettato! Anche e soprattutto quando è debole o influenzabile. Mi viene in mente il gatto che gioca con il topo prima di mangiarselo vivo. Solo che l’uomo non è un gatto e neppure un topo. Queste menti, ovviamente, utilizzano uomini adatti allo scopo, cioè loro stessi, se ne hanno voglia, oppure, ancora una volta, “l’utile cretino”. Li vediamo tutti i giorni in televisione. Li conosciamo bene.

Mi fermo qui, perchè non posso continuare, non ne ho neppure la forza. E’ notte, torno a dormire, se ci riesco... Anzi no: devo ancora scrivere il perchè sto scrivendo e “a chi” la scrivo.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
Scrivo questa lettera sperando che si diffonda tra quelli che avvertono questo disagio, che per me è una malattia di questa nostra società, una cancrena, che sta invadendo tutti gli spazi del corpo fino ai livelli più gravi e profondi, cioè dentro le famiglie, al livello della formazione dei giovani, nel lavoro, nelle Professioni, ovunque e in ogni luogo. E più c’è benessere e più dilaga.

Scrivo questa lettera perché questa cancrena è arrivata già da anni a livello politico, cioè al livello più alto, dove ci si gioca tutto, ci si gioca anche la libertà conquistata a prezzo di milioni di morti, sì milioni, perché nella seconda guerra mondiale non possiamo contare solo i morti Italiani, o peggio ancora solo i morti della parte che interessa a noi. Soprattutto,  a livello delle Istituzioni, si gioca tutto il povero, l’ultimo, chi non può difendersi: lì, quella persona, si gioca veramente tutto, perché l’unica cosa che ha sono i suoi diritti.

Scrivo questa lettera a tutti quelli che, come me, sentono che occorre smettere di gridare, ritornare riflettere, ritornare a pensare prima di parlare.

            Scrivo questa lettera a tutti quelli che sentono, come me, che un Paese come l’Italia, che vive sulle barricate dal dopoguerra, non potrà mai progredire.

            La scrivo perché la gente comune come me, i cittadini, in questo stato di istituzioni democratiche, hanno bisogno della loro rappresentanza politica per far valere le proprie istanze, le proprie ragioni, i propri diritti. Senza la forza della rappresentanza, in una società democratica, i cittadini restano muti e inermi.

            La scrivo perché questa rappresentanza non si esercita stando sulle barricate e non si esercita senza uomini politici capaci di parlare. Non devono gridare, devono parlare!

            La scrivo anche e soprattutto per quelli che sono d’accordo con me, ma non la possono scrivere, perché se caso, a differenza di me, non sono nati benestanti e quindi non hanno studiato, e quindi magari non sanno proprio scrivere; oppure magari sanno scrivere un po’ ma non riescono a trovare le parole giuste, oppure perché non riescono a sintetizzare il concetto ma hanno percepito il dramma.

            La scrivo dopo quasi vent’anni di attività professionale svolta in “contro-corrente”, nel rispetto sì della deontologia professionale ma, proprio per questo, ormai contro tutto e tutti, perché da decenni, ormai, nessuno più rispetta nessun codice deontologico. Perchè? Ma perché “non paga”, non “rende”. Sono tutti concetti superati, sono fronzoli inutili, non sono strettamente funzionali al risultato. Il risultato si ottiene presto e meglio by-passandoli. Non sono neppure concetti al passo con i tempi: aumentano anche i costi!

            La scrivo trovandomi sempre al limite della mia capacità di resistenza, perché non sono un invincibile, perché la sirena dell’omologazione all’andazzo generale è forte, e continuamente ti solletica, ogni giorno, ogni santo giorno.

            La scrivo oggi per gli impegnati in Politica, dopo più di 20 anni di silenzio totale, perché mi sembra (ma soprattutto spero) che qualcuno inizi a riflettere, magari anche qualcuno fra quelli che hanno gridato molto in questi anni. Vedo e parlo ancora con persone che la pensano come me e così riprendo forza. Mi sembra di vedere qualcosa...

            La scrivo sperando che qualcuno si unisca a me, che magari qualcuno più bravo di me aggiunga pezzi, la elabori, la corregga, la trasmetta più in alto possibile, la legga a chi non sa leggere. La scrivo perché so che alla fine il bene vince sul male. Ma ciò richiede una forza interiore tutta da trovare. Madre Teresa ci ha dato un esempio di vita: l’abbiamo vista tutti, ma quanta forza e quanta fede c’era dentro quella donna? Per prima cosa ti viene da arrenderti…

Spero che ci sia veramente questo seme nuovo, questo segnale di un vento nuovo, che prima o poi dovrà pur arrivare. Forse è arrivato oggi. Se non è arrivato è lo stesso, dobbiamo iniziare noi. Come minimo dobbiamo resistere. Io continuerò fino alla morte.
           
            Ciao.

4 commenti:

  1. E' davvero commovente la passione con cui esprimi la tua visione della vita. E' una visione che condivido al 100%. Sarò al tuo fianco anche in questa avventura: i muri intorno sono molto alti, ma noi siamo bravi scalatori, buttiamo il cuore oltre l'ostacolo. Scriverò preso qualcosa sulla mia professione di insegnante. Grazie per questo spazio
    Paola

    RispondiElimina
  2. Ciao Pig.
    Sono rimasto colpito dalla forza con cui hai scritto questo "manifesto". C'è molto di buono, di apprezzabile e condivisibile. Come ti ho già detto in qualche occasione io stesso mi trovo parecchio a disagio in questo mondo, o meglio in questa nostra società.
    Troveremo il modo di approfondire gli argomenti. La mia personale sofferenza non necessariamente coincide con quella di tutti, ma almeno in parte credo di si.
    Da tempo ormai indago, osservo, scruto. E rifletto.
    Sui motivi sociali, psicologici, evolutivi, dei mali del nostro tempo.
    Per ora ti lascio con questo link a un articolo che ho trovato interessante.

    http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=42685

    La rete è fonte inesauribile di spunti.

    A Presto

    Sandro I.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ho letto l'articolo. Molto interesante. Non faccio il lavoratore dipendente, per cui è forse per questo che non mi sono mai trovato nelle situazioni descritte. Invece mi trovo tutti i giorni con la paura di perdere il lavoro, ma la vinco, razionalmente, per riuscire a continuare la mia battaglia per la verità. Se alla fine perderò la battaglia, contestualmente al lavoro che sto gia' perdendo, mi rimarranno almeno gli amici!

      Elimina