LA CULTURA del
DEGRADO: UNA DENUNCIA E UNA PROPOSTA
(lettera inviata a molti amici e conoscenti nell'autunno 2010)
(lettera inviata a molti amici e conoscenti nell'autunno 2010)
Sono un cittadino italiano, di 46
anni. Per quelli che non mi conoscono (e ciò poco importa) sono una persona
qualunque, sono un Italiano, che ama il proprio paese, la sua civiltà e la sua
cultura.
Sono un cittadino che ha bisogno
di dire BASTA! e cercare di contrastare la diffusione nella nostra società, ma
soprattutto nei giovani, di una serie di proposte, di stili di vita, di
comportamenti, di metodi, di strumenti, che stanno assumendo la dimensione di
una “cultura”, anche se, forse, ha già raggiunto la dignità di una “civiltà”,
in questa Italia di oggi: una civiltà del degrado; una civiltà retrograda. Ma
preferisco chiamarla ancora "cultura", perché penso che possa ancora essere
sconfitta. Dicevo, sta diventando una “cultura”, in cui non mi riconosco, che
per me è la negazione della “civiltà conquistata” di ieri, che non accetto e
rifiuto con tutte le mie forze. Essa è proposta, diffusa ed attuata tramite le
parole e i comportamenti di uomini e donne a volte lucidi, ma non sempre, spesso consci, a volte invece plagiati da altri, altre
volte in preda a veri e propri deliri, ciascuno a modo suo. Ma il problema è
che si diffonde oramai da anni. Si tramanda addirittura da genitori a figli.
La chiamo “cultura”, ma per me è
più un cancro per questa società. La chiamo cultura perché qualcuno la sposa,
ci crede, l’ha fatta sua. La chiamo “cultura” perché ormai la trovi ovunque,
c’è una metastasi in ogni campo delle attività umane, dalla politica, al
giornalismo, alle professioni, la trovi nel mondo del lavoro, del lavoro
dipendente e degli imprenditori, della cooperazione, del sindacato. Ovunque. La
chiamo “cultura” perché, oramai, ha sviluppato metodi, logiche, comportamenti,
spiegazioni per ogni cosa.
Quella a cui mi riferisco è, per
esempio, la “cultura”, ormai dilagante, che scambia le opinioni per i fatti,
che vuol vedere le cose sempre dalla stessa parte, che vuol far credere che la
verità sia una sola, che cita Voltaire al contrario, che rovescia il
significato della Parabole di Cristo, che vuol fare credere che si possa non
cambiare mai idea in tutta una vita, anzi, che non lo si debba proprio mai
fare. E’ la cultura che vuol far credere che il giusto stia sempre dalla tua
parte, quella più comoda, quella che ti conviene, la prima cosa che hai pensato
o ipotizzato, così chiudi subito il discorso. E’ il dire: “è così e basta”. E’
la cultura che coltiva la stupidità e l’ignoranza umana, perché se ne nutre.
E’ una “cultura” che sponsorizza
e promuove “l’uomo che non dice mai quel che pensa”, bensì quel che conviene o
ciò che è funzionale a qualcosa. E’ una “cultura” che isola gli “uomini veri” e
le “donne vere”, quelli che non si piegano, perché li teme, in quanto sono come
anticorpi.
E’ la cultura che tende a
isolare, ma possibilmente annientare, o quanto meno zittire, gli uomini veri e
le donne vere, quelli con la schiena dritta, cioè quegli uomini e quelle donne
che dicono sempre quello che pensano, sempre, non ogni tanto, e fanno sempre quello che dicono;
quegli uomini e quelle donne che rispettano le regole e le leggi, ma le
rispettano semplicemente perché esistono, e perché sono il fondamento della
vita democratica di un paese. Le rispettano anche quando non le condividono.
Perché? Semplicemente perché sono state decise democraticamente, per cui si
rispettano e basta. Sono uomini e donne, quelli veri, che sbagliano, come
tutti, ma si correggono, fanno un esame interiore, verificano mille e mille
volte il problema, per cui sono di nuovo pronti a dare il loro contributo. Non
hanno mai la pretesa di aver capito tutto. Sono uomini e donne che non si
comprano, perché non è vero che tutto si può comprare.
Già… dove sono finiti questi
“uomini veri” e queste “donne vere”, quelli che dicono quel che pensano e fanno
quel che dicono… Sono isolati, emarginati, derisi. Ma ci sono. Tutti i giorni
li vedo e mi parlano. Sono degli eroi. I veri eroi di oggi. Lottano
democraticamente contro tutta una cultura, un mondo, che spesso va al
contrario. Essi spesso attendono di essere ascoltati, con pazienza, anni… Non
gridano mai, attendono sempre che l’altro, chiunque esso sia, qualunque età
abbia, finisca di parlare. Sono quelli che attendono il proprio turno. Sono
quelli che, quando veramente serve, si alzano e dicono le cose che pensano,
spesso esponendosi. Questi uomini e queste donne parlano soprattutto quando non
conviene, perché in quel caso nessuno parla, perché potresti dare fastidio a
quella persona importante che sta parlando, ad esempio al politico di turno, di
destra o di sinistra, all’impresario potente di turno, al ricco di turno, il
quale magari sta dispensando consigli di vita a tutti, al funzionario di turno…
Ciò spesso non conviene: magari è giusto, ma non conviene. Non conviene, pero' vedi che proprio loro, in quel preciso momento, se sono presenti (perché
sono ormai veramente pochi), si alzano e chiedono di parlare. Lo fanno anche se
non conviene, perché devono farlo,
ne sentono il dovere. Sono uomini che non calcolano mai la convenienza
economica dell’intervento che stanno per fare, semplicemente perché "la convenienza" è un
ragionamento che non c’entra niente. Sono gli uomini e le donne che fanno la spina
dorsale di una Nazione.
Ma torniamo al punto: di che cultura stiamo parlando?
Ma torniamo al punto: di che cultura stiamo parlando?
E’ la “cultura” del non fare mai i conti con i propri
errori, che vuol far credere che esistano veramente dei superuomini che non
sbagliano, infallibili. E’, in fin dei conti, la cultura delle “ideologie”. Ma e' anche la cultura del “non
pensare ”, tanto c'è qualcuno che pensa per me: uno che non sbaglia, per cui sono tranquillo. E' la cultura del “non avere mai dubbi”, perché il dubbio è segno di
debolezza. Invece gli uomini sbagliano, anche i più grandi, perché sono
limitati, hanno paure, subiscono condizionamenti… Quale uomo, tra i più grandi
della terra, non ha mai commesso errori? Troviamone almeno uno sulla terra! Non
c’è, perché semplicemente non sarebbe un uomo.
E’ la “cultura” che esalta gli
uomini “vincenti”, non importa come, perché o per cosa. Uomini che devono aver
vinto qualcosa, che primeggiano in qualcosa, che vincono qualcosa, da
contrapporre agli altri. Quindi vanno bene quelli che riescono ad avere una
carica di Presidente di qualcosa, di Assessore a qualcos’altro, vanno molto
bene anche i calciatori, anche se sono semi- analfabeti, perché guadagnano un
sacco, vanno bene anche i dittatori, purchè ricchi, vanno al limite bene anche
gli uomini che vendono mine anti-uomo se hanno fatto i miliardi. Non importa
cosa fai, però devi essere “un vincente”. Se no, scusa, che cavolo sei? Un
operaio? Un camionista? Un medico? Magari della mutua? Sai quanti ce ne sono in
Italia di “medici”? Un politico che si occupa di disagio sociale? E che cos’è?
A che cavolo serve?
E’ la cultura degli uomini “che
ottengono sempre il risultato”, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, che
raggiungono “l’obbiettivo”, e più sono bravi più lo raggiungono presto, perché
il tempo è denaro. E’ un risultato che però spesso, a ben guardare, è ottenuto
senza stare troppo a sottilizzare sul metodo e sulla forma, magari
stiracchiando qualche regola, con qualche appoggio, saltando una fila,
prendendo una scorciatoia... Ma non conta nulla: è “il risultato”! Magari
qualcuno ha dovuto corrompere un funzionario, ma non conta perché
comunque lo fanno tutti... E’ una cosa molto importante “la garanzia del
risultato”, perchè spesso il risultato vale parecchi soldi; a volte vale
addirittura una vita umana se stai cercando un organo al mercato nero!
E’ questa anche la “cultura” del
“risultato sicuro e subito”, che dà risposta a chi dice: “lo voglio subito,
ora!”. In questo caso, solletica gli istinti umani più beceri e utilizza tutti
gli strumenti più spietati, perché, a ben pensare, è anche la cultura “del fine
che giustifica i mezzi”, del sopruso, che autorizza a calpestare tutto e tutti,
i diritti, le tutele dei piu' deboli, pur di ottenere il risultato. Così come fanno i militari
nelle carceri per interrogare qualcuno e farlo “parlare”; cose che si vedono soltanto, normalmente, quando uno Stato è in Guerra. Con questa “cultura” la vita diventa
veramente una guerra: una guerra civile, tutti i giorni.
E' anche la “cultura” del “pretendere tutto e subito”, la quale ti convince
anche che tutto ciò è giusto e giustificabile, perché tu ne senti il bisogno, ma soprattutto perchè tu "non poi aspettare".
Perché? Perché il tuo tempo è più importante di quello degli altri! Gli altri
possono aspettare, ma tu no. Tu non hai tempo, il tempo è denaro! Questa “cultura
del tutto e subito” ti spiega anche che tutto ciò, tutto sommato, è positivo,
perché hai subito quello che volevi; pagando un prezzo, ovviamente. Magari hai
calpestato i diritti di un altro che veniva prima di te, ma l’hai ottenuto quello che volevi;
subito, ovviamente, e sei stato furbo. Piu' furbo degli altri! La furbizia è importante, se no, al contrario, sei
uno stupido, un fesso, uno che perde le occasioni. Apparentemente tutto quadra:
mi piace! Però se ti fermi un attimo a pensare... se per caso hai tempo per
pensare, magari hai saltato la fila e c’era un uomo qualunque, di fianco a te,
che stava aspettando come te un’operazione all’ospedale… Ma tu, con la
conoscenza di un amico importante, uno dei tanti tuoi amici tutti importanti,
gli sei passato davanti, sei arrivato prima, perchè sei più furbo, sei uno che ha
amici importanti, che ti aiutano. Tanto lui non conta niente, è un pezzente,
non ha amici importanti. Mi viene in mente il “Marchese del Grillo”. Io la
rifiuto questa cultura, con tutte le mie forze.
E’ la cultura che promuove il
qualunquismo, le valutazioni un tanto al braccio. Giustifica la
mediocrità, anzi, la propone.
Promuove, ad esempio, la presenza in Politica e nelle Istituzioni di uomini e
donne assolutamente incompetenti nella materia che trattano, proponendoli magari in
televisione. Per fare “opinione”: gli “opinionisti”. IO cambio canale, ma il problema è che c’è gente, purtroppo, che ha
bisogno di capire, che magari non ha altri mezzi per capire, la quale,
fidandosi, li ascolta.
E’ la “cultura” che pretende di
dare ad ogni cosa “un equivalente in denaro”, per esempio, come dicevo prima, al tempo, ma anche
all’amicizia, perché “ti conviene” aiutare un amico che poi ti dà qualcosa in
cambio, mentre uno che non potrà mai restituirti il favore non è neppure un
amico. Quindi l’amicizia, tutto sommato, ha “un valore in denaro"!
E’ la “cultura” che propone ai
giovani modelli deliranti di uomini e donne senza testa e senza cultura, senza
passioni, senza un interesse che sia uno, magari un interesse qualsiasi che
possa dare un senso all’esistenza sulla terra di un uomo. Propone gli
“uomini-involucro”, “uomini immagine”. In effetti li chiamano proprio cosi! Poi
prende queste persone e li mette in televisione seduti su un trono, e i nostri
figli che, a quell’ora, guarda caso, sono lì davanti alla televisione, li
guardano, li osservano, perplessi quando va bene, attenti quando invece va male.
E' la "cultura" secondo cui conta solo chi è “in vista”, non importa come e perché: conta esserci ed apparire. Una cultura della superficialità, dell’inutile, che vive di ignoranza, perché senza ignoranza muore subito.
E’ una "cultura" secondo cui si puo' vivere una vita intera inseguendo cose totalmente inutili: i cavoli altrui, ad esempio, vanno molto bene. Secondo questa cultura, le “passioni” non servono. Invece l’uomo reale vive e si nutre ogni giorno di passioni! Senza “passioni” l’uomo è morto, non è un uomo, non vive. Non voglio fare una graduatoria, non mi interessa, ma qualcosa un uomo DEVE avere oltre al suo “involucro”. L'amore è passione. Senza passioni l’uomo non potrebbe impegnarsi veramente in nessuna cosa: non avrebbe mai creato nulla, nessuna forma di arte, nessuna scienza. Senza passione l'uomo non avrebbe mai esplorato il cielo stellato; non vedrebbe neppure Dio! Siamo anche qui al delirio puro. Siamo alla follia. Un tempo le avrei liquidate come semplici sciocchezze, discorsi di qualche stupido. Oggi capisco, invece, che rischiamo il delirio tutti quanti perchè rischiamo un’intera civiltà, la civiltà moderna, quella dei nostri valori condivisi, creata in secoli di storia dei popoli.
E' la "cultura" secondo cui conta solo chi è “in vista”, non importa come e perché: conta esserci ed apparire. Una cultura della superficialità, dell’inutile, che vive di ignoranza, perché senza ignoranza muore subito.
E’ una "cultura" secondo cui si puo' vivere una vita intera inseguendo cose totalmente inutili: i cavoli altrui, ad esempio, vanno molto bene. Secondo questa cultura, le “passioni” non servono. Invece l’uomo reale vive e si nutre ogni giorno di passioni! Senza “passioni” l’uomo è morto, non è un uomo, non vive. Non voglio fare una graduatoria, non mi interessa, ma qualcosa un uomo DEVE avere oltre al suo “involucro”. L'amore è passione. Senza passioni l’uomo non potrebbe impegnarsi veramente in nessuna cosa: non avrebbe mai creato nulla, nessuna forma di arte, nessuna scienza. Senza passione l'uomo non avrebbe mai esplorato il cielo stellato; non vedrebbe neppure Dio! Siamo anche qui al delirio puro. Siamo alla follia. Un tempo le avrei liquidate come semplici sciocchezze, discorsi di qualche stupido. Oggi capisco, invece, che rischiamo il delirio tutti quanti perchè rischiamo un’intera civiltà, la civiltà moderna, quella dei nostri valori condivisi, creata in secoli di storia dei popoli.
E’ la “cultura” che eleva gli
uomini mediocri, perché sono più utili. E’ la teoria “dell’utile cretino”, o la
teoria in base alla quale sommando 10 somari ottieni un cavallo da corsa! In base a questa teoria abbiamo riempito la politica di cretini, in quanto prendono ordini dall'alto più facilmente: quelli intelligenti rompono troppo le scatole...
Questa "cultura" elogia addirittura gli uomini che si piegano. Vive e si alimenta di omologazione. Promuove l’appiattimento in basso di ogni cosa e a tutti i livelli, dall’impegno da dedicare al lavoro, alla qualità degli insegnanti universitari. Osteggia fortemente tutto ciò che è meritocratico.
Questa "cultura" elogia addirittura gli uomini che si piegano. Vive e si alimenta di omologazione. Promuove l’appiattimento in basso di ogni cosa e a tutti i livelli, dall’impegno da dedicare al lavoro, alla qualità degli insegnanti universitari. Osteggia fortemente tutto ciò che è meritocratico.
E’ la cultura che fa credere ai
giovani che studiare non conta a nulla, che la fatica del lavoro non conta
nulla, che i “risultati” si possono raggiungere facilmente anche senza
studiare, o senza lavorare, ma soprattutto senza impegno, e, assolutamente, mai mettere passione nelle cose che fai! Inoltre, meno fai fatica più
sei furbo. E’ quindi anche la cultura della scorciatoia, del saltare l’ostacolo anziché
affrontarlo. E’ la cultura del copiare il compito a scuola, ma ti propone di
farlo per tutta la vita. E’ la cultura dei compromessi su tutto, anche sulle
regole e le leggi, magari anche sulla moralità e i valori.
Questa cultura sta dilagando
ovunque: in televisione, nei cartoni animati che guardano i nostri figli, nei
programmi per la casalinghe e per gli anziani. Ultimamente stiamo passando ad
una specie di “soluzione finale" hitleriana del “gusto del sadico”, proponendo
in televisione persone anziane, inconsapevoli, mandate su un set televisivo a
farsi ridicolizzare da tutti, soltanto per ridere. C’è da piangere, altro che
ridere! Ma, peggio ancora, vediamo bambini sui set televisivi, bambini che
potrebbero studiare, che invece tentano di “sfondare” con la televisione, con i
loro genitori lì a fianco che applaudono e li incoraggiano; magari hanno
venduto un rene per riuscire a portare lì i loro figli, ma lo fanno per il loro
futuro! Se per caso sfondano, diventano ricchi! E poi si divertono un sacco,
tutti quanti: li riprendono con la televisione, per cui li vedono anche tutti i loro amici, e
gli amici del papà e della mamma! Tutto ciò viene proposto in televisione,
quindi proposto come modello “culturale” e viene assorbito come tale, come una
cosa normale.
E’ la “cultura” del “sospetto e
della diffidenza”, del partire pensando subito “male”, che non ti fa più
credere in niente e a nessuno, neppure in un Giudice perché tanto sono tutti
corrotti. E’ la teoria del “Grande Vecchio” che, secondo alcuni, dirige la vita
dell’Italia fin dal Dopoguerra. E’ quella cultura che, alla fine, ti fa chiudere in
te stesso, che poi ti porta a giocare tutta la tua vita in difesa, perché non
ti fidi più di nessuno, perché tutti, comunque, alla fine dei conti, cercano di
fregarti.
E’ la cultura che produce la
Politica di oggi, della confusione, delle grida, del menar le mani, degli spettacoli indecenti. E’
la politica che ha riempito i partiti di uomini politici mediocri. E’ una
Politica che non può produrre nulla, perché fatta di uomini che non solo all’altezza, per cui nulla hanno da dire.
E’ la cultura che utilizza la
Politica per dividere, che stabilisce a priori che “la destra è meglio della
sinistra” oppure che “la sinistra è meglio della destra”. La cultura del “o
stai di qua o stai di là”. La cultura in base alla quale dall’altra parte,
quella che non è la tua, sbagliano sempre: hanno sempre torto. Non si sa
perché, ma è così. Ne consegue che tu hai ragione sempre, se stai dalla tua
parte, che è quella giusta; ciò è molto comodo e tranquillizzante. Non devi
neppure stare ad ascoltare; non devi neppure fare la “fatica” di ascoltare.
Ovviamente se cambi idea non sei più dei nostri, per cui gli altri dei nostri
cominciano a sospettare di te. Magari è meglio se eviti proprio di parlare con
gente dell'altra parte, perché, magari, se qualcuno di vede, può pensare male
di te... E’ la cultura che porta allo scontro, che rifiuta l’ascolto e il
dialogo. Perché, in fin dei conti, non siamo proprio uguali: io ho sempre ragione, tu no.
E’ la cultura che produce la
Politica di oggi, che scalda gli animi, che soffia sul fuoco, che deborda nel
linguaggi; la politica gridata, la politica fatta di risse. Questa politica
utilizza uomini funzionali allo scopo, assolutamente sempre “degli utili
cretini”. Io dico BASTA alla politica che
divide, basta alla politica delle barricate. Voglio una politica fatta di
luoghi di discussione per tutti. Non voglio solo i miei rappresentanti, voglio
e pretendo di vederli e sentirli tutti. Li voglio ascoltare, tutti: voglio decidere
io! Voglio che TUTTI possano parlare! Lo voglio e lo pretendo, perché questa
Italia, che altri mi hanno consegnato, è stata voluta così e io non la voglio cambiare.
Voglio un’Italia democratica e libera. Non è una questione di destra o
sinistra. E’ una questione di democrazia e di rappresentanza!
E’ infine la cultura che utilizza, soprattutto
in Politica, in modo cinicamente lucido, la tecnica del "sofisma”. Si tratta
ovviamente di menti raffinate e lucide, le quali, con tale tecnica, mirano a manipolare le menti delle persone. Ovviamente parliamo di chi non è in grado di capire l’inganno, per cui le prede classiche, ancora una volta, sono le menti più semplici, le menti più pure, i ragazzi, gli individui che non hanno studiato, i quali magari non sanno neppure leggere per informarsi, verificare, cioè chi, in definitiva, tente a fidarsi del prossimo, oppure si deve fidare per forza, cioè “l’ultimo”. Anche le Ideologie, che in fin dei conti sono dei sofismi (in quanto, prima di tutto, sono costruzioni delle mente umana), per cui hanno anch'esse questo scopo. Qui veramente abbiamo toccato il fondo, in quanto a questi livelli non c'è più niente di umano. Invece l'uomo va rispettato! Anche e soprattutto quando è debole o influenzabile. Mi viene in mente il gatto che gioca con il topo prima di mangiarselo vivo.
Solo che l’uomo non è un gatto e neppure un topo. Queste menti, ovviamente, utilizzano uomini
adatti allo scopo, cioè loro stessi, se ne hanno voglia, oppure, ancora una volta,
“l’utile cretino”. Li vediamo tutti i giorni in televisione. Li conosciamo bene.
Mi fermo qui, perchè non posso
continuare, non ne ho neppure la forza. E’ notte, torno a dormire, se ci
riesco... Anzi no: devo ancora scrivere il perchè sto scrivendo e “a chi” la
scrivo.
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Scrivo questa lettera sperando
che si diffonda tra quelli che avvertono questo disagio, che per me è una
malattia di questa nostra società, una cancrena, che sta invadendo tutti gli
spazi del corpo fino ai livelli più gravi e profondi, cioè dentro le famiglie,
al livello della formazione dei giovani, nel lavoro, nelle Professioni, ovunque
e in ogni luogo. E più c’è benessere e più dilaga.
Scrivo questa lettera perché
questa cancrena è arrivata già da anni a livello politico, cioè al livello più
alto, dove ci si gioca tutto, ci si gioca anche la libertà conquistata a prezzo
di milioni di morti, sì milioni, perché nella seconda guerra mondiale non
possiamo contare solo i morti Italiani, o peggio ancora solo i morti della
parte che interessa a noi. Soprattutto,
a livello delle Istituzioni, si gioca tutto il povero, l’ultimo, chi non
può difendersi: lì, quella persona, si gioca veramente tutto, perché l’unica
cosa che ha sono i suoi diritti.
Scrivo questa lettera a tutti
quelli che, come me, sentono che occorre smettere di gridare, ritornare
riflettere, ritornare a pensare prima di parlare.
Scrivo
questa lettera a tutti quelli che sentono, come me, che un Paese come l’Italia,
che vive sulle barricate dal dopoguerra, non potrà mai progredire.
La
scrivo perché la gente comune come me, i cittadini, in questo stato di
istituzioni democratiche, hanno bisogno della loro rappresentanza politica per
far valere le proprie istanze, le proprie ragioni, i propri diritti. Senza la
forza della rappresentanza, in una società democratica, i cittadini restano
muti e inermi.
La
scrivo perché questa rappresentanza non si esercita stando sulle barricate e
non si esercita senza uomini politici capaci di parlare. Non devono gridare,
devono parlare!
La
scrivo anche e soprattutto per quelli che sono d’accordo con me, ma non la
possono scrivere, perché se caso, a differenza di me, non sono nati benestanti
e quindi non hanno studiato, e quindi magari non sanno proprio scrivere; oppure
magari sanno scrivere un po’ ma non riescono a trovare le parole giuste, oppure
perché non riescono a sintetizzare il concetto ma hanno percepito il dramma.
La
scrivo dopo quasi vent’anni di attività professionale svolta in
“contro-corrente”, nel rispetto sì della deontologia professionale ma, proprio
per questo, ormai contro tutto e tutti, perché da decenni, ormai, nessuno più
rispetta nessun codice deontologico. Perchè? Ma perché “non paga”, non “rende”.
Sono tutti concetti superati, sono fronzoli inutili, non sono strettamente
funzionali al risultato. Il risultato si ottiene presto e meglio by-passandoli.
Non sono neppure concetti al passo con i tempi: aumentano anche i costi!
La
scrivo trovandomi sempre al limite della mia capacità di resistenza, perché non
sono un invincibile, perché la sirena dell’omologazione all’andazzo generale è
forte, e continuamente ti solletica, ogni giorno, ogni santo giorno.
La
scrivo oggi per gli impegnati in Politica, dopo più di 20 anni di silenzio
totale, perché mi sembra (ma soprattutto spero) che qualcuno inizi a
riflettere, magari anche qualcuno fra quelli che hanno gridato molto in questi
anni. Vedo e parlo ancora con persone che la pensano come me e così riprendo
forza. Mi sembra di vedere qualcosa...
La
scrivo sperando che qualcuno si unisca a me, che magari qualcuno più bravo di
me aggiunga pezzi, la elabori, la corregga, la trasmetta più in alto possibile,
la legga a chi non sa leggere. La scrivo perché so che alla fine il bene vince
sul male. Ma ciò richiede una forza interiore tutta da trovare. Madre Teresa ci
ha dato un esempio di vita: l’abbiamo vista tutti, ma quanta forza e quanta fede
c’era dentro quella donna? Per prima cosa ti viene da arrenderti…
Spero che ci sia veramente questo
seme nuovo, questo segnale di un vento nuovo, che prima o poi dovrà pur
arrivare. Forse è arrivato oggi. Se non è arrivato è lo stesso, dobbiamo
iniziare noi. Come minimo dobbiamo resistere. Io continuerò fino alla morte.
Ciao.
E' davvero commovente la passione con cui esprimi la tua visione della vita. E' una visione che condivido al 100%. Sarò al tuo fianco anche in questa avventura: i muri intorno sono molto alti, ma noi siamo bravi scalatori, buttiamo il cuore oltre l'ostacolo. Scriverò preso qualcosa sulla mia professione di insegnante. Grazie per questo spazio
RispondiEliminaPaola
Il commento della moglie non vale...
EliminaCiao Pig.
RispondiEliminaSono rimasto colpito dalla forza con cui hai scritto questo "manifesto". C'è molto di buono, di apprezzabile e condivisibile. Come ti ho già detto in qualche occasione io stesso mi trovo parecchio a disagio in questo mondo, o meglio in questa nostra società.
Troveremo il modo di approfondire gli argomenti. La mia personale sofferenza non necessariamente coincide con quella di tutti, ma almeno in parte credo di si.
Da tempo ormai indago, osservo, scruto. E rifletto.
Sui motivi sociali, psicologici, evolutivi, dei mali del nostro tempo.
Per ora ti lascio con questo link a un articolo che ho trovato interessante.
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=42685
La rete è fonte inesauribile di spunti.
A Presto
Sandro I.
Ho letto l'articolo. Molto interesante. Non faccio il lavoratore dipendente, per cui è forse per questo che non mi sono mai trovato nelle situazioni descritte. Invece mi trovo tutti i giorni con la paura di perdere il lavoro, ma la vinco, razionalmente, per riuscire a continuare la mia battaglia per la verità. Se alla fine perderò la battaglia, contestualmente al lavoro che sto gia' perdendo, mi rimarranno almeno gli amici!
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